La parlata giudeo-reggiana

A cura di Francesco Paolella

 

AlfabetoOgni comunità ebraica in Italia sviluppò, a partire dall’inizio dell’età moderna, una propria parlata, che si fondava sul dialetto locale, a cui si aggiungevano vocaboli ed espressioni ebraiche. Le diverse parlate non erano unite da una base nazionale comune.

Anche la parlata giudeo-reggiana si costituì nel momento in cui la comunità si stabilizzava e venivano erette le porte del ghetto.

Si tratta di una tradizione essenzialmente orale. Le voci di origine ebraica venivano spesso storpiate o italianizzate. Usare questa parlata poteva anche essere un mezzo per comunicare senza farsi capire dai non-ebrei, dalla servitù o dai bambini. Si può dire che vi era, all’interno della comunità reggiana, un vero e proprio trilinguismo: ebraico, italiano e parlata (questo almeno per le fasce più alte della popolazione). L’università israelitica scriveva tradizionalmente i suoi documenti in ebraico, anche se le autorità civili, ancora alla metà del Settecento, minacciavano forti multe perché gli ebrei non scrivessero nella propria lingua, ma in italiano.

Le diverse parlate iniziarono a declinare con la fine dei ghetti e l’avvio del processo di assimilazione.

Già nei primi anni del Novecento, si avvertì l’esigenza di raccogliere e conservare, anche nel reggiano, le testimonianze di questo “dialetto speciale”, utilizzato ormai solo da qualche anziano. Interessante sottolineare che le più importanti testimonianze scritte sulla parlata giudeo-reggiana non provengano dall’ambiente ebraico, ma da quello cristiano. Si tratta soprattutto di testi satirici e burleschi (commedie, scritti d’occasione) sulla vita nel ghetto e sui costumi degli ebrei. Pensiamo in particolare ai 45 sonetti scritti da Giovanni Ramusani, fra il 1899 e il 1901, e raccolti sotto il titolo In Ghett.