A cura di Antonio Zambonelli.
Il 5 Ottobre 1943, “Il Solco fascista” indicava come questione numero uno quella ebraica, spiegando che tale problema “non esisterebbe più a questa ora, come non esiste da un pezzo in Germania, se le direttive date a suo tempo dal Duce per eliminare integralmente il giudaismo dal Fascismo italiano fossero stati fedelmente applicate”.
Molte famiglie israelite residenti nel territorio reggiano, prevedendo il precipitare degli eventi, si erano allontanate fin dall’inizio dell’occupazione germanica.
Ma a partire dal 5 Dicembre, sette ebrei del Comune di Reggio Emilia, presenti al proprio domicilio, erano stati tratti in arresto. Ad arrestarli, assieme ai gendarmi germanici, vi erano anche solerti funzionari della questura locale.
Vi si aggiunsero Lucia Finzi di Correggio ed i coniugi Benedetto Melli e Lina Jacchia, i quali si erano allontanati dalla propria abitazione reggiana cercando di espatriare, ma vennero arrestati alla frontiera con la Svizzera e trasferiti a Reggio in stato di detenzione.
Condotti a Reggio, poi al campo di Fossoli, diventato campo di transito per ebrei diretti allo sterminio, dopo essere stato campo di concentramento per prigionieri di guerra, partirono per l’ultimo viaggio, senza ritorno, sul treno piombato diretto ad Auschwitz, il 22 Febbraio 1944.
Subirono tale sorte, oltre ai tre già ricordati: Ada Corinaldi e le due sorelle Olga e Bice; Beatrice Ravà ved. Rietti, con le due figlie Ilma e Iole, e Oreste Sinigaglia.
Il convoglio, composto da circa 650 persone, tra cui anche Primo Levi, giunse ad Auschwitz Sabato 26 Febbraio, alle ore 21. Poco dopo l’arrivo al campo, diventato nome-simbolo della Shoah, ebbe luogo la selezione delle persone valide per lo sfruttamento, e di quelle malate o anziane, da mandare subito alle camere a gas.
Fino ad oggi non sappiamo quanti altri dei 129 ebrei reggiani, censiti nel 1938 e allontanatosi da Reggio Emilia, siano morti negli anni 1943-1945 per morte non naturale.
Tra gli atti della RSI ci fu poi anche quello del sequestro e della confisca dei beni, secondo l’art. 1 dell’Ordine di polizia diramato da Buffarini-Guidi ai capi delle province, il 30 Novembre 1943. Ad amministrare tali beni venne poi nominato, in data 12 Gennaio 1944, l’avv. Giuseppe Scolari, che sarebbe rimasto in carica fino al 31 Ottobre 1944; tale funzione venne continuata “di fatto”, da Giulio Pennisi, che verrà poi nominato ufficialmente con decreto del capo della provincia in data 2 Dicembre 1944.
Si tolse anche la pensione agli ebrei che ne godevano, senza riguardo nemmeno per le madri di caduti in guerra, come apprendiamo dalla comunicazione dell’Intendenza di finanza, del 31 Marzo 1944, dal capo della Provincia.
La sede dell’Ente per l’amministrazione dei beni sequestrati si trovava in Via San Pietro Martire, numero 14.
Se l’apparato della Rsi, anche a Reggio, si applicò diligentemente nel rapinare gli ebrei, nel dar loro la caccia, nel consegnarli ai carnefici nazisti e nel fomentare l’opinione pubblica contro la “razza maledetta”, diversi reggiani che ne ebbero l’occasione furono disponibili a soccorrere i loro conterranei perseguitati per motivi razziali.
Furono in particolare esponenti del mondo cattolico, come Don Enzo Boni Baldoni (noto come Giusto fra le Nazioni) ad impegnarsi consapevolmente in tale opera, ma non mancarono anche manifestazioni di solidarietà, a rischio della propria vita, da parte di gente umile, di famiglie contadine e di militanti nella Resistenza.
Nel dopoguerra, dopo il rientro dalla Svizzera a Reggio, benché fornito di una laurea in ingegneria chimica, Giorgio Melli non riuscì ad inserirsi nella vita e nel lavoro. Nel 1960, non reggendo agli incubi ricorrenti, dovette essere ricoverato in ospedale psichiatrico a Verona, dove morì nel 1977, all’età di 58 anni.