Antigiudaismo

A cura di Antonio Zambonelli.

 

Grida

“Grida sopra l’alloggiare forestieri ebrei”, emessa dal principe Luigi d’Este nel 1688

Per secoli gli ebrei furono presi di mira per ragioni religiose e sociali, come testimoniano le accuse di deicidio e di usura, ma non per motivi razziali in senso “biologico”.

Nel 1669, Laura Martinozzi, vedova del duca Alfonso IV e reggente dello Stato estense in nome del figlio minore Francesco II, decretò l’obbligo per tutti gli ebrei della città di Reggio di abitare in ghetto, “sendovi da noi continui disordini e scandali per l’unione e vicinanza delle case e abitazioni degli Ebrei di Reggio con li Cristiani”.

Gli israeliti reggiani assommavano a un totale stimabile di 885 persone, divise in 162 famiglie, e costituivano all’incirca un quindicesimo di tutta la popolazione cittadina, raccolto nelle quattro stradicciole di Monzermone, l’Aquila, della Volta e Cagiati. Il Ghetto si trovava a essere come “assediato” da ben sei chiese cattoliche: di San Silvestro, dei monaci di Santo Spirito, di San Rocco, San Paolo, Sant’Egidio e della Trinità.

A determinare l’atto della reggente non era certo stato estraneo l’antico pregiudizio cristiano verso “i primi e più duri nemici di Cristo, i quali perciò sono senza Re ed esuli dal Regno pagano ancora il fio del commesso deicidio cacciati dalla loro terra”, come decretava il Sinodo cattolico di Reggio nel 1697, ripetendo l’antica invettiva di San Giovanni Crisostomo.

Passò comunque oltre un secolo tra emanazione della Bolla di Papa Paolo IV (del 12 Luglio 1555) Cum nimis absurdum, decretante, tra l’altro, la restrizione degli ebrei nei ghetti, e l’effettiva realizzazione del Ghetto reggiano, con tanto di portoni d’accesso chiusi al tramonto e riaperti all’alba.

Diversi altri decreti vessatori trovarono a Reggio, e nei territori estensi in generale, vari ostacoli ad essere applicati. Così, per esempio, il decreto del governatore di Reggio Molza, del 1735, con cui si stabiliva che gli ebrei da 10 anni in su dovessero portare “il segno nel cappello”, richiamando altra grida, di pari contenuto, del 1670.

Discriminati per la loro identità religiosa, gli ebrei erano però, se non amati, comunque ricercati dai signori estensi, non solo per la professione di prestatori di denaro cui erano indotti, essendo vietato ai cristiani di praticare l’usura, ma anche per quella sorta di know how commerciale che molti di loro possedevano, rendendoli capaci di stabilire relazioni internazionali grazie ai legami di parentela e alla comunanza di lingua con i correligionari residenti in vari stati dell’Europa.

Gli ebrei di Reggio Emilia,  furono emancipati una prima volta in periodo napoleonico (1796-1814), con una “pausa” tra il 1799 e il 1800; ma vennero riconfinati in Ghetto e sottoposti a varie vessazioni durante la Restaurazione.

Quasi scontato il permanere, anche dopo l’unità d’Italia, di una vena antiebraica anche in sede locale, in particolare sul versante cattolico. Ai tradizionali motivi religiosi, autorevolmente ravvivati da scritti pubblicati sulla rivista “Civiltà cattolica”, si aggiungeva l’astio verso alcuni ebrei reggiani acquirenti di beni ecclesiastici prima incamerati dallo Stato. Meriterebbero un’approfondita indagine, al riguardo, episodi come la protesta dei rurali che nell’inverno 1866 – 1867, armati di zappe e forconi, a centinaia vengono “a turbare la quiete della città, per chiedere lavoro e per tentare l’assalto al quartiere dei ricchi israeliti”.